IMU e casa coniugale assegnata: la Cassazione conferma la necessità della residenza e della dimora abituale

 


Con l’ordinanza n. 4303 del 19 febbraio 2025, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla questione dell’IMU dovuta per la casa coniugale assegnata al coniuge in sede di separazione o divorzio. La decisione ribadisce un principio già affermato in giurisprudenza: l’esenzione dall’IMU non si applica in via automatica, ma richiede che il coniuge assegnatario abbia la residenza anagrafica e la dimora abituale nell’immobile.

La pronuncia assume particolare rilievo per gli enti impositori e per gli operatori del settore, poiché chiarisce i limiti dell’agevolazione e fornisce un importante criterio interpretativo per la gestione degli accertamenti in materia.

Il caso: l’esenzione IMU negata dal Comune e il contenzioso

La controversia nasce da un avviso di accertamento emesso dal Comune di [omissis] nei confronti di una contribuente, con il quale veniva richiesto il pagamento dell’IMU e della TASI per l’anno 2017. Il Comune negava l’esenzione per l’abitazione principale, rilevando che la contribuente, pur essendo assegnataria dell’immobile a seguito di separazione, risultava residente in altri Comuni da oltre un decennio e non dimorava stabilmente nella casa oggetto di assegnazione.

La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado aveva accolto il ricorso della contribuente, sostenendo che la sola assegnazione dell’immobile da parte del giudice fosse sufficiente a garantire l’esenzione, indipendentemente dall’effettiva residenza e dimora abituale. Secondo i giudici di merito, infatti, il provvedimento di assegnazione conferiva un diritto di abitazione che, di per sé, giustificava l’esclusione dal tributo.

Di diverso avviso la Cassazione, che ha accolto il ricorso del Comune e cassato la decisione della Corte territoriale, negando l’esenzione alla contribuente e ribadendo che il beneficio fiscale è subordinato alla sussistenza dei requisiti richiesti dalla normativa IMU.

L’interpretazione della normativa IMU da parte della Cassazione

Nel motivare la propria decisione, la Suprema Corte ha richiamato il quadro normativo di riferimento, sottolineando che l’art. 1, comma 707, della legge n. 147/2013 prevede l’esenzione IMU per la casa coniugale assegnata al coniuge a seguito di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio. Tuttavia, la norma non può essere interpretata in modo svincolato dalle altre disposizioni che disciplinano l’agevolazione per l’abitazione principale.

L’art. 13, comma 2, del D.L. n. 201/2011 stabilisce infatti che, per essere qualificato come abitazione principale, un immobile deve essere il luogo in cui il soggetto passivo “dimora abitualmente e risiede anagraficamente”. La Cassazione ha ribadito che questi due requisiti devono necessariamente coesistere affinché l’unità immobiliare assegnata sia esente dall’imposta municipale.

In altre parole, l’assegnazione della casa coniugale comporta il trasferimento della soggettività passiva IMU dal coniuge proprietario al coniuge assegnatario, ma non determina automaticamente il diritto all’esenzione. Quest’ultima può essere riconosciuta solo se l’immobile risponde ai criteri previsti per l’abitazione principale, ossia la stabile dimora e la residenza anagrafica del coniuge assegnatario.

I precedenti giurisprudenziali e la posizione della Corte Costituzionale

La Cassazione si è richiamata a numerosi precedenti giurisprudenziali, tra cui la propria sentenza n. 6544/2023, nella quale era già stato affermato che “la soggettività passiva IMU dell’assegnatario della casa coniugale non implica il diritto all’esenzione, che resta subordinato alla presenza dei requisiti di residenza e dimora abituale”.

Un ulteriore riferimento è stato fatto alla sentenza della Corte Costituzionale n. 209/2022, che aveva affrontato il tema delle agevolazioni IMU per l’abitazione principale, chiarendo che la coesistenza di residenza e dimora abituale è un criterio imprescindibile per evitare che il beneficio fiscale venga riconosciuto in modo indiscriminato, aprendo la strada a possibili abusi.

Da ultimo, la Corte ha respinto il riferimento alla Circolare MEF n. 1/DF del 2020, con cui l’Amministrazione finanziaria aveva espresso un’interpretazione più ampia dell’esenzione per la casa familiare. Secondo la Cassazione, tale documento non ha valore vincolante e, in ogni caso, riguarda la nuova IMU introdotta nel 2020, mentre il caso di specie era disciplinato dalla normativa vigente nel 2017.

Conclusioni e impatti pratici della decisione

La pronuncia della Cassazione conferma l’orientamento ormai consolidato secondo cui l’assegnazione della casa coniugale, pur determinando il trasferimento della soggettività passiva IMU, non è di per sé sufficiente a giustificare l’esenzione dal tributo. Il beneficio fiscale resta subordinato alla verifica della residenza anagrafica e della dimora abituale, in linea con il principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost.

Per i Comuni, questa decisione fornisce un chiaro indirizzo nella gestione degli accertamenti IMU, confermando la necessità di controllare la reale situazione abitativa dell’assegnatario prima di concedere l’esenzione. Per i contribuenti, invece, il messaggio è altrettanto chiaro: il solo provvedimento di assegnazione non esonera dal pagamento dell’IMU se non vi è effettiva residenza e dimora nell’immobile.

In un contesto in cui le controversie in materia di IMU restano numerose, questa ordinanza della Cassazione rappresenta un punto fermo nella corretta interpretazione della normativa, rafforzando il principio di stretta interpretazione delle agevolazioni tributarie e garantendo maggiore certezza giuridica agli operatori del settore.

Autore: Francesco Foglia

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